sabato 2 agosto 2014

PER NON DIMENTICARE



ENRICO  CARUSO
La voce e il cuore di Napoli
  Il 2 Agosto ricorre l’anniversario della morte del grande tenore Enrico Caruso, Napoli 25.2.1873 – Napoli 2.8.1921.Sono trascorsi ben 93 anni ma resta sempre vivo in noi il suo ricordo.Nessuno degli artisti lirici, stando a quanto si ricorda, può paragonarsi a Enrico Caruso; nessuno ebbe la dolcezza, la pastosità di timbro e l’estensione di suono della sua voce.
Nacque a Napoli il 25 febbraio 1873, poco lontano dalla nota Piazza Carlo III.
Egli che era il diciottesimo di 21 figli di un modesto operaio; che per due anni aveva lavorato in una fabbrica di fontane e che aveva cantato chiedendo “la buona grazia del pubblico”, conosceva bene le ristrettezze della vita e sapeva quanto era bello consolare chi soffriva per far fiorire un sorriso sul volto del prossimo bisognoso.
Verso i dieci anni cominciò a cantare nelle chiese, come amava dire egli stesso. Il padre all’oscuro delle sue qualità canore lo mise tra gli apprendisti meccanici della fonderia De Luca all’Arenaccia. Anche qui Carusiello (così veniva chiamato affettuosamente) fu subito notato per la sua mirabile voce, e tutti lo invitavano a cantare. Chi, però, intuì quale tesoro fosse quella voce e si impegnò a valorizzarla, fu il baritono Edoardo Misiano. Cantavano insieme sulle spiagge napoletane  durante l’estate e un giorno questi, preso da irresistibile entusiasmo, esclamò “Caruso, la tua voce è unica al mondo!”. Il giovane, che allora contava diciannove anni, rise incredulo e rispose che cantava solo perché non sapeva farne a meno.
L’amico non si diede per vinto e tanto insistette da convincerlo ad andare dal maestro Guglielmo Vergine. Ma questi udita la voce sottile del giovane, scrollò la testa e mormorò con un sorrisino di compassione: “Caruso, figlio mio, la tua voce è tutta vento!”. Neppure dopo questo scoraggiante responso il Misiano si arrese. Se ne stette tranquillo per qualche tempo e poi ritornò alla carica: “Caruso, te lo ripeto ancora: la tua voce è miracolosa. Il maestro Vergine dev’essere matto !”. il giovane si decise perciò, a ritornare dal Vergine. Il quale non soltanto si ricredette, ma ne divenne il più appassionato sostenitore in quei primi tempi della carriera.
In attesa di migliore sorte, per le feste patronali, il giovane tenore seguiva i concertini dei posteggiatori che andavano a suonare nei rioni popolari di Napoli. Oppure cantava nei caffè o, come già dicevamo, sulle spiagge. Dopo, passava tra la folla che l’aveva ascoltato per raccogliere con un piattino le varie offerte.
In breve tutti si accorsero delle sue capacità, iniziarono così i primi contratti, i primi guadagni.
A Napoli, il vecchio teatro Mercadante era stato trasformato e rimesso a nuovo da Nicola Daspuro, rappresentante generale della casa Sonzogno, diretta dal maestro Zuccani. Un giorno si presentò al Daspuro Guglielmo Vergine e gli raccomandò caldamente Caruso. Fu pertanto ammesso nella Compagnia e gli dettero da studiare, tra le altre opere, la Mignon. Ma, nonostante i paterni incoraggiamenti dello Zuccani, come si andava a provare, il giovane si emozionava a tal punto da non poter proseguire. La conclusione fu che la Stagione terminò senza che avesse potuto cantare una sola volta. (Il nervosismo e la preoccupazione per il pubblico non l’abbandonarono mai, e, oltre tutto, ne facevano fede le molte sigarette che fumava nel camerino e i calmanti a cui ricorreva perfino sulla scena).
Con tenacia commovente, il Vergine si presentò al Daspuro anche l’anno dopo, pregandolo di andare a sentire Caruso al Verdi di Salerno. Questi si sforzò di trovare mille scuse per non andarvi; ma le insistenze furono tali e tante che fu costretto ad accondiscendere. Non se ne pentì. Caruso cantò come non si sarebbe mai aspettato ed egli si affrettò a comunicare il proprio entusiasmo al Sonzogno. Fu autorizzato a scritturarlo per il Lirico di Milano con la paga di 500 lire al mese. Vi debuttò con l’Arlesiana di Cilea e il successo fu strepitoso. Il giorno seguente firmava un contratto per 1000 lire a recita.
Da allora ebbe inizio la sua ascesa straordinaria. Gli arrivarono offerte da ogni parte e fu conteso dai migliori teatri: 1.000, 2.000, 3.000, 10 mila lire a recita. I proprietari del Metropolitan di New York, che prima l’avevano scritturato per 12.000 lire, finirono col presentargli i contratti con la cifra in bianco. Eppure, era sempre pagato poco in rapporto agli incassi strabilianti. Nono solo il teatro era sempre zeppo, ma molto pubblico era costretto a tornare a casa, per mancanza di posti. Andato in Messico nel 1919, per una tournè, una sera dovette cantare sotto l’ombrello a causa di un improvviso temporale; e tutti i 35.000 spettatori restarono impietriti ad ascoltarlo sotto l’acqua. Giunse ad ottenere compensi serali di 40.000 lire (di quel tempo!). a tutto ciò bisognava aggiungere, inoltre, i proventi per niente trascurabili dell’incisione dei dischi.
Poco prima di morire, al musicologo Alberto De Angelis che voleva conoscere dei dati biografici, il cantante rispose in questi laconici termini: “24 anni di carriera 20 milioni”. Ma poi i milioni erano diventati più del doppio. Forse neppure lui sapeva bene quanto possedeva. Sapeva soltanto che nel 1918 fu quotato per 153.933 dollari di tasse dal fisco americano, mentre quello italiano cercava di non essere da meno.
Superate le ambiguità sulla classificazione della sua voce (se tenorile o baritonale), dovute alle difficoltà nell’uso del registro acuto e al timbro scuro e vellutato, si affermò nel 1897 con un’interpretazione della Gioconda al Massimo di Palermo e fu poi a Livorno (Bohème), a Milano (Arlesiana) e infine a Pietroburgo.
Al colorito caldo e alla morbidezza della voce, la propensione per il repertorio fece via via aggiungere una incisività drammatica. Dalla fine del 1903 al 1920 Caruso fi interrottamente al Metropolitan di New York, facendosi applaudire anche nelle altre principali città d’America e d’Europa. Nei primi anni americani Caruso allargò ulteriormente la sua gamma verso l’acuto, conquistando una forza drammatica, una potenza di voce paragonabile a quella di Tamagno. Ma passò a un repertorio di opere romantiche (e soprattutto. Aida, Ballo in maschera, Rigoletto), oltre naturalmente alle più famose arie della canzone classica napoletana.
NAPOLI NEL CUORE
Andato all’estero e diventato una celebrità mondiale, Caruso era tornato per cantare nella propria città il 1901.  Purtroppo l’accoglienza non fu pari alle aspettative; principalmente per un gruppo di facinorosi che disturbarono in teatro la prima sera. L’artista se ne dispiacque tanto che andò via senza neppure terminare il corso delle recite programmate al S. Carlo. Giurò anzi di non mettere più piede a Napoli se non per salutare la vecchia mamma e… per mangiare i vermicelli. Ma, nonostante l’antipatico incidente, egli rimase sempre teneramente innamorato della città che l’aveva visto nascere e dove aveva tanto sofferto e sognato. “Se mi apriste il cuore – soleva dire – vi trovereste un nome solo : Napoli!”.
Caruso omaggiò Napoli e la sua canzone in giro per il mondo ecco alcuni brani del suo repertorio: Mamma mi che vò sapè; Santa Lucia – Marechiare – tarantella sincera – Manella mia – Fenesia ca lucive – ‘O sole mio – ‘A vucchella – Senza nisciune – Io m’arricorde e Napule – Core ‘ngrato. Oltre alla meravigliosa “Tiempe antiche” da lui stesso composta.
Questo omaggio di cuori innocenti assume il significato d’un bellissimo simbolo: ricorda che Caruso, oltre a essere il più grande tenore del mondo, ebbe un cuore particolarmente sensibile e generoso: il cuore d’un autentico napoletano. Ogni mattina, raccontava la moglie, gli arrivava un pacco di lettere e quasi tutte chiedevano aiuto. La stessa signora Doroty diceva di aver trovato dopo la morte del marito una lista di circa 130 nomi a lei completamente sconosciuti: era tutta gente alla quale elargiva soccorsi con scrupolosa puntualità. E sorprende ancora di più pensare che era stato generoso anche quando era un povero squattrinato. La sua popolarità fu enorme, e a essa contribuì in misura determinante il disco, che in quegli anni incominciava a entrare nell’uso. Caruso morì in seguito a gravi complicazioni polomonari era il 2 agosto del 1921, aveva appena 48 anni. Secondo il suo desiderio il suo corpo riposa nella sua amata Napoli presso il Cimitero di Poggioreale. 
Mario Mirenghi

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